Malattie neurodegenerative negli anziani: quali sono e come comportarsi

malattie neurodegenerative negli anziani

Le malattie neurodegenerative negli anziani sono un problema molto comune. Con questo termine si indica una serie di condizioni che colpiscono soprattutto i neuroni del cervello umano.

I neuroni sono le cellule che costituiscono il sistema nervoso, che di norma non sono in grado di riprodursi; per questo, nel momento in cui subiscono danni o muoiono, non possono essere sostituite dall’organismo.

Questo è il motivo per cui queste patologie sono classificate come debilitanti e non curabili, in quanto portano alla degenerazione progressiva e in seguito alla morte delle cellule nervose.

La morte delle cellule nervose può produrre atassia, quando ad essere coinvolto è il funzionamento del movimento, o demenza quando, invece, è coinvolto il funzionamento cerebrale. 

La maggior parte degli anziani colpiti da patologie neurodegenerative presenta sintomi di demenza piuttosto che di atassia, come dimostrano il 60 – 70% dei pazienti affetti da Alzheimer.

Ma quali sono queste patologie? Tra le più note troviamo:

Ognuna di queste malattie è accomunata da un processo cronico e selettivo di morte cellulare dei neuroni.

Malattie neurodegenerative: la loro natura

Le malattie neurodegenerative possono essere di natura genetica o sporadica. Quando la loro natura è genetica, è possibile attribuirne la causa ad un’alterazione della sequenza del DNA, che quindi può anche essere trasmessa alle generazioni successive.

Se inveve la natura è sporadica, allora la demenza non può essere associata ad una specifica alterazione del DNA e non può essere trasmessa. Solo studi genetici mirati sono in grado di stimare con sufficiente precisione quale sia la genesi della patologia.

Ad oggi, sebbene molto si conosca di queste malattie, grazie alla ricerca e al progresso medico-scientifico, si è ancora molto lontani dal trovare una cura, un trattamento che possa rendere il processo degenerativo reversibile. 

Nella migliore delle ipotesi, è possibile rallentare l’avanzare della malattia, soprattutto nei casi di diagnosi precoce, e aiutare il paziente nella gestione dei sintomi, sebbene in modo molto limitato.

Malattie degenerative e stimolazione cognitiva: una cura complessa

Uno tra gli approcci utilizzati ad oggi nel trattamento delle malattie neurodegenerative, come ad esempio la demenza, prende il nome di stimolazione cognitiva.

La stimolazione cognitiva in pazienti con queste patologie si riferisce a tutti i possibili interventi terapeutici per migliorare la memoria, il linguaggio, l’orientamento spazio-temporale, l’attenzione e la programmazione.

Come detto in precedenza, non si tratta di una cura risolutiva, ma di un intervento finalizzato a migliorare la qualità di vita del paziente, compatibilmente con i suoi sintomi.

L’obiettivo principale di questo approccio è quello di rallentare il decadimento cognitivo, cercando di mettere il paziente nelle condizioni di avere il miglior equilibrio funzionale possibile, con particolare riguardo all’impatto psicologico che la malattia ha sugli anziani.

È molto frequente, infatti, che in seguito alla diagnosi aumentino sia l’isolamento sociale che i disturbi del comportamento, cosa che non fa che creare terreno fertile per un rapido decorso della malattia.

Alla base di tutte queste terapie sta quindi il concetto di lavorare sulle capacità e potenzialità residue che, se correttamente stimolate, possono coprire le mancanze causate dal deterioramento neuronale.

I videogiochi: una palestra cognitiva per le malattie neurodegenerative

Il gioco, in questo caso in versione elettronica e digitale, si aggiunge alle pratiche terapeutiche utilizzate per la cura delle patologie neurodegenerative.

Si sono dimostrati di grande aiuto i cosiddetti “exergame”, una specifica categoria di videogiochi che richiede il coinvolgimento di tutto il corpo.

Questi ultimi infatti si basano non solo sulla coordinazione occhio-mano, ma si estendono anche ad altre parti del corpo, cosa che va a grande beneficio dell’equilibrio motorio.

Si tratta quindi di un approccio da tenere nella debita considerazione quando ci si prende cura di una persona affetta da una di queste patologie, perché consente di coniugare l’aspetto ludico e quello terapeutico.

Malattie neurodegenerative e il trattamento già dai primi sintomi

Il primo fattore di rischio per lo sviluppo delle demenze è l’età, che infatti tendono a presentarsi nella popolazione che ha più di 65 anni.

Oltre questa soglia, è bene iniziare a prestare molta più attenzione a piccole avvisaglie, che magari, anche solo 10 anni prima, sarebbero stati archiviate come episodi di poca importanza.

Piccole perdite di memoria, confusione, difficoltà in alcuni movimenti, crescente irascibilità sono solo alcuni dei segnali che, superata una certa età, non vanno sottovalutati e vanno subito portati all’attenzione del medico curante, che proporrà poi di proseguire l’iter diagnostico con uno specialista.

Non si tratta di cedere a facili allarmismi, ma di tenere gli occhi aperti per riuscire a diagnosticare già dalle prime fasi una eventuale malattia neurodegenerativa. I vantaggi della diagnosi precoce sono infatti moltissimi e, a fronte di una impossibilità di curare queste patologie, diventa fondamentale iniziare a trattarle fin dai primi stadi, per rallentarne il decorso.

Per questo, al di là della vigilanza che i diretti e interessati e le famiglie devono tenere, sarebbe anche importante fare un’opera di sensibilizzazione profonda sulle fasce di popolazione più esposte al problema.

Sant’Anna 1984 e il trattamento delle malattie neurodegenerative

In Italia l’età media della popolazione è tra le più elevate al mondo. Non sorprende quindi che nel nostro Paese le malattie neurodegenerative siano molto diffuse e con un trend crescente.

Ad oggi il welfare statale garantisce coperture e assistenza minima per queste patologie, che pure impattano in modo molto significativo sulla vita degli anziani e su quella di chi se ne prende cura.

Con il progredire della malattia, diventa sempre più complesso gestire la sintomatologia e spesso l’unica scelta a disposizione delle famiglie è il ricovero presso una struttura privata specializzata.

Nella maggior parte dei casi, però, gli anziani rifiutano il ricovero, sviluppando, a seconda dei casi, grande aggressività oppure atteggiamenti di auto-isolamento.

In questo contesto, l’assistenza domiciliare si dimostra il metodo migliore per prendersi cura dei pazienti. Il fatto di rimanere presso la propria abitazione, circondati dai propri ricordi, aiuta gli anziani a rimanere connessi con se stessi, nonché a mantenere una routine e una socialità sane.

Noi di Sant’Anna 1984 siamo specializzati nell’erogazione di servizi di assistenza domiciliare a persone affette da malattie neurodegenerative e ci occupiamo del loro benessere a tutto tondo.

Non si tratta quindi solo di aiutare gli anziani nelle attività quotidiane, come lavarsi o vestirsi, ma anche compiere le azioni terapeutiche fondamentali al mantenimento di una condizione cognitiva che sia la migliore possibile.

Stimolazione intellettuale, esercizio fisico, buona alimentazione, socialità e convivialità sono gli elementi che contraddistinguono il nostro servizio di assistenza, che permette agli anziani di convivere in modo più sereno con la malattia.

Ricreare un ambiente stimolante sia dal punto di vista cognitivo che sociale è all’apice delle nostre priorità, perché dei numerosi benefici sulle funzionalità cerebrali.

Anche il giusto coinvolgimento dei familiari è però indispensabile, perché il loro supporto costituisce uno strumento terapeutico irrinunciabile. Per questo ci premuriamo di informarli sulle giuste modalità per stimolare cognitivamente il loro caro, attraverso l’insegnamento delle corrette strategie per interagire con il malato, per captare e poi rispondere in modo appropriato ai suoi bisogni, in modo da prevenire e gestire i disturbi comportamentali.

Il Nordic Walking: lo sport perfetto per gli anziani

nordic walking sport anziani

Il Nordic Walking, anche conosciuto come Camminata Nordica, è un tipo di attività fisica che consiste in una camminata veloce con l’ausilio di due bastoni, che sono i veri protagonisti del movimento e che caratterizzano questa attività. Questo stile di camminata nasce in Finlandia, dal bisogno degli sciatori professionisti di poter continuare gli allenamenti anche in mancanza di neve sul terreno.

Si è rivelata nel tempo un’attività molto benefica ed efficace a livello muscolare, cardiovascolare e posturale, dal momento che spalle, collo, schiena e braccia vengono coinvolti in maniera moderata.

Dati i suoi numerosi benefici, si è diffusa con rapidità al di fuori del mondo dello sci e ad oggi è molto amata, nonché consigliata, dalle persone dai 60 anni in su. Il Nordic Walking, infatti, è uno sport sicuro, che porta con sé notevoli vantaggi per la salute del corpo e della mente.

Nordic Walking: un toccasana per la terza età

A rendere questo sport adatto alle persone anziane sono fattori come:

  • l’utilizzo del 90% dei muscoli del corpo contro il 40% della camminata normale;
  • il consumo del 20% in più di calorie;
  • si potenzia l’allenamento cardiovascolare;
  • le ginocchia vengono stressate meno;
  • postura ed equilibrio migliorano;
  • si riduce lo stress sulle articolazioni;
  • si stimola l’attività cardiaca;
  • si attiva il metabolismo.

Grazie a tutti questi benefici e alla sua facilità di esecuzione, il Nordic Walking diventa una forma sicura e accessibile di attività aerobica alternativa, adatta a chi non riesce a praticare sport ad intensità troppo elevata.

C’è da precisare, inoltre, che il Nordic Walking, proprio per le sue caratteristiche, è un’attività fisica completa e che consente di allenare tutti i principali gruppi muscolari. Adottando una tecnica corretta, si riesce infatti ad ottenere un elevato coinvolgimento muscolare ed un efficace lavoro cardiocircolatorio, con formidabili benefici per la propria salute.

L’ossigenazione migliora, la resistenza aumenta insieme a forza, coordinazione, equilibrio e postura. 

Importante è anche il contributo che questa attività motoria può dare nel rallentare il processo di invecchiamento, caratterizzato dalla riduzione delle capacità fisiche e cognitive, con un aumentato rischio di sviluppare malattie croniche e disabilità.

Il Nordic Walking aiuta a migliorare i livelli di forza degli arti superiori, in particolar modo, nonché il livello di equilibrio, essenziale per prevenire eventuali cadute, che per gli anziani sono molto pericolose.

I benefici però non si limitano al piano fisico: è stato infatti dimostrato che questa camminata può contribuire a rallentare anche il declino cognitivo, a combattere la depressione e a migliorare la qualità del sonno.

Dopo sole 12 settimane di allenamento con il Nordic Walking, la qualità di vita degli anziani, sia da un punto di vista fisico che psicologico, migliora in modo netto, garantendo una vecchiaia più decorosa e serena.

Nordic Walking per anziani: sempre e solo all’aperto

Dai sentieri di montagna, ai parchi, alla città, alla spiaggia, l’importante è che ci siano due bastoni, aria aperta e compagnia.

I due bastoni hanno la funzione di spinta per coinvolgere il maggior numero di muscoli, al fine di aumentare il dispendio energetico e favorire un esercizio benefico a livello cardiocircolatorio.

La tecnica e l’efficienza dei movimenti diventano determinanti per ottenere il massimo dei benefici. I movimenti devono essere accompagnati da una corretta respirazione e il passo deve essere caratterizzato dall’alternanza dei movimenti di braccio e gamba opposti.

Da sempre la camminata e lo sport vengono consigliati per mantenere la forma e la tonicità muscolare, ma anche per contenere il peso nei suoi valori ideali. 

Il Nordic Walking permette tutto ciò, con poco tempo e a costi bassissimi, anche e soprattutto perché è un’attività che deve essere praticata all’aperto, a contatto con la natura, ma in particolar modo in compagnia.

È molto frequente vedere gruppi di 10 o 20 anziani che passeggiano per i parchi con i loro bastoni, assolvendo nello stesso momento due bisogni fondamentali durante la vecchiaia: quello di fare movimento e quello di socialità.

Nordic Walking ed effetti sulle patologie croniche degli anziani

Il Nordic Walking, come l’attività fisica in generale, si è dimostrato uno sport in grado di impattare in modo positivo su patologie croniche come obesità e diabete.

Si è visto che praticare Nordic Walking per 12 settimane consecutive ha provocato una riduzione della massa grassa totale, del colesterolo LDL, dei trigliceridi e della circonferenza della vita.

Anche la pratica del Nordic Walking in pazienti affetti da Morbo di Parkinsons è stata approfondita e sottoposta a studi. Questa attività motoria aiuta a migliorare la sintomatologia e porta un netto miglioramento nella qualità di vita, nella performance funzionale e nella capacità di attenzione e concentrazione.

L’utilizzo dei bastoni facilita infatti la camminata e favorisce la stabilità posturale durante la deambulazione, contrastando la flessione del corpo in avanti tipica della patologia. Inoltre, l’oscillazione delle braccia fornisce uno stimolo motorio importante a chi soffre di questa malattia.

Infatti, uno dei primi sintomi della malattia è proprio l’incapacità nell’utilizzo delle braccia, che provoca un aumento dell’instabilità nella postura, che a sua volta porta al rischio di caduta.

Sulla base di ciò e considerando ad oggi l’assenza di controindicazioni, la pratica del Nordic Walking può rappresentare un’attività praticabile non solo dai soggetti sani, ma anche da soggetti affetti da patologie che peggiorano la deambulazione.

Nordic Walking: un’attività motoria semplice e benefica

Per invogliare una persona anziana a fare esercizio fisico la prima regola deve essere la semplicità. Spesso infatti gli anziani si sentono scoraggiati quando gli vengono proposte attività troppo stancanti o complesse.

La pratica del Nordic Walking, invece, si è rivelata la giusta alleata per chi ha bisogno di fare movimento in maniera tranquilla ma efficace. Il giovamento fisico è visibile già dopo le prime uscite: il beneficio più immediato è sulla postura, sull’equilibrio, sulla forza muscolare e sulla coordinazione.

In questo stile di camminata, il carico delle articolazioni viene sorretto dall’utilizzo dei bastoni e in questo modo l’apparato osseo viene protetto da osteoporosi e artrosi, anche perché il costante sforzo ha la capacità di stimolare l’assimilazione del calcio e la produzione di elastina e collagene.

Non bisogna poi dimenticare che mantenersi in forma non riguarda solo il fisico, ma anche l’umore; infatti organizzare uscite, soprattutto se in compagnia e con periodicità, è molto semplice e può rivelarsi un vero toccasana per gli anziani.

Praticare Nordic Walking significa praticare sport rendendo la giornata piacevole, allontanarsi dai malanni di stagione e dalla malinconia tipica della terza età.

Badante in nero fa causa, quali sono i rischi per gli eredi e come tutelarsi?

badante a nero fa causa rischi

La spesa per l’assistenza domiciliare per molti può essere molto rilevante da un punto di vista economico (di fatto si tratta di prendersi a carico la spesa di “un dipendente” a tutti gli effetti) e sono quindi molte le famiglie che cercano di trovare una soluzione per poter spendere il meno possibile.

La difficoltà, però, non è “solo” legata ai soldi, ma anche al reale raggiungimento della soluzione al problema.

Di fatto, quando si decide di pagare per l’assistenza domiciliare ad un anziano lo si fa perché o la situazione sta cominciando a richiedere troppo tempo, oppure perché alcune tra le cose che bisogna fare per assisterlo iniziano ad avere un costo emotivo elevato, o anche perché ci si rende conto che è richiesta una certa competenza o esperienza che non tutti hanno.

Questo significa che per risolvere il problema non solo si dovrà sostenere un costo mensile, ma bisognerà anche trovare qualcuno che riuscirà ad espletare i compiti che si desidera delegare.

Le cose si complicano ulteriormente se la persona da assistere è particolarmente fragile o non è del tutto lucida.

Una badante, difatti, si paga per prima cosa con la fiducia, in quanto le viene affidata una persona importante e a cui si tiene.

Nel mondo dell’assistenza domiciliare la domanda più ricorrente è: ”chi bada alla badante?”. Tanto più il rapporto è deregolamentato, tanto più il “datore di lavoro” dovrà essere presente per assicurarsi che i compiti vengano svolti.

Badante qualificata: trovarla è difficile

La prima cosa, infatti, che bisogna considerare è che la percentuale di disoccupazione del personale qualificato nel settore dell’assistenza agli anziani e ai disabili è prossima allo 0.

Questo significa che se una persona ha:

  • buone referenze;
  • carichi pendenti e casellario giudiziale pulito;
  • manualità;
  • documenti in regola;
  • padronanza della lingua;

può andare in qualsiasi cooperativa sociale, agenzia per il lavoro o interinale, e trovare un impiego “in regola” in massimo 2 settimane.

Per impegno in regola si intende:

  • contratto con 13 mensilità + TFR;
  • regolarità nella gestione della parte contributiva;
  • orario di lavoro definito e gestione straordinari;
  • diritto al riposo e alle ferie;

Questo significa che il pubblico di operatori che rappresenta la “prima scelta” è accessibile solo tramite canale ufficiale.

Per quale ragione una persona che ha le caratteristiche e l’esperienza necessarie per poter ottenere 1100€ netti al mese e in regola, ne dovrebbe accettare di meno e a nero?

È evidente, quindi, che se una persona accetta di lavorare a nero è perché ci sono delle ragioni ostative che le impediscono di accedere al settore ufficiale.

Queste ragioni possono essere:

  • assenza di referenze;
  • carichi pendenti e casellario giudiziale non pulito;
  • mancanza di manualità;
  • documenti non in regola;
  • percezione di reddito di cittadinanza;
  • cassa integrazione da altro impiego;
  • percezione del sussidio di disoccupazione;
  • mancata padronanza della lingua.

Va da sé che tanto più è bassa la cifra che una persona è pronta (e disposta) ad accettare, tante più cose della lista sopra possono riguardare il suo caso.

Oltre a ciò, bisogna considerare che ogni comunicazione tra la famiglia ed il badante a nero diventa probante. 

Qualsiasi messaggio inviato tramite SMS o tramite WhatsApp, qualsiasi ricevuta, qualsiasi comunicazione dove si può evincere che la persona era subordinata alla famiglia può essere, successivamente, utilizzata per poter fare vertenza alla famiglia.

Tanto più è bassa la cifra che si è pagata prima, tanto più sarà alta la cifra che sarà richiesta dopo.

Badante a nero: come può fare vertenza?

Alcune famiglie pensano che le badanti che lavorano a nero non dispongano della cifra necessaria per poter affrontare una causa legale.

La verità è che, per la badante, è sufficiente recarsi a qualsiasi sportello badante o sindacato per poter avviare un dialogo con un avvocato specializzato nel settore, che, per prima cosa, valuterà quanto si potrà richiedere poi se la famiglia dove ha lavorato è solvibile (immobili di proprietà, risparmi in banca, tipologia di reddito) ed alla fine andrà ad introdurre un giudizio per ottenere l’importo massimo da richiedere sulla base delle violazioni che ha constatato.

Per dare un’idea, una badante che ha lavorato a nero per un periodo di 6 mesi, da convivente, può facilmente costare in un giudizio 2500€ per ogni mese, quindi 15000€.

Per trasparenza e onestà, va anche precisato che questa tipologia di cause, per gli avvocati, sono di facile realizzo, in quanto i giudici che decidono si esprimono a favore del lavoratore subordinato (e quindi contro il datore di lavoro) nella stragrande maggioranza dei casi, forti del fatto che l’aver retribuito a nero una persona è un comportamento vietato dalla legge.

Di quei 15000€ riportati nell’esempio sopra, di solito una congrua parte va all’avvocato.

Badante a nero: la gestione dei periodi di prova

Un altro aspetto non secondario è che, con un rapporti di lavoro in nero, la gestione dei periodi di prova diventa molto difficile.

Nell’assistenza domiciliare la fase più critica è quella dell’instradamento e dell’inserimento della risorsa in famiglia. Questa fase, anche quando è gestita da operatori di livello, ha un KO statistico del 30%.

Questo significa che entro 60 giorni l’assistito rifiuterà comunque l’operatore, a prescindere dalla sua effettiva validità.

Nel caso in cui la persona presa in prova venga mandata via, lo scenario più comune è comunque quello della vertenza.

Certo, 1 o 2 mesi, possono rappresentare una richiesta di soli 2500 o 5000€, che con un bravo avvocato possono essere ridotti anche della metà, ma di fatto è corretto dire che il vantaggio di prendere una persona a nero sia comunque svanito. La soluzione dell’assitenza al proprio caro non è stata raggiunta ed il problema sarà addirittura aggravato.

Noi di Sant’Anna abbiamo parlato con famiglie che hanno tenuto per 3 anni la badante a nero. Quando l’hanno mandata via, perché in alcuni casi l’assistito era stato trasferito in casa di riposo ed in altri deceduto, si sono viste arrivare vertenze da oltre 100.000€, non trovando altra alternativa che accordarsi sulla cifra da pagare.

Bisogna sempre ricordare che siamo nell’era di internet e oggi le informazioni sono facilmente reperibili per chiunque.

Sappiamo anche che molte badanti, consapevoli dei vantaggi che si possono ottenere dal lavoro a nero, cercano datori di lavoro pronti a mettersi in questa posizione di svantaggio.

Abbiamo sentito di badanti che fanno oltre 2 vertenze all’anno e che puntano più sulla vertenza che sul lavoro.

Alla fine è semplice: una badante trova facilmente un lavoro a nero ed accetta un compenso molto basso di cui, però, si assicura di lasciare traccia scritta.

Resiste in quel posto di lavoro per 3 o 4 mesi, dopo di che coglie la prima opportunità e va via, fa scrivere dall’avvocato ed ecco lì che ha creato i presupposti per poter richiedere circa 10.000€.

Ripete il procedimento un’altra volta nel corso dell’anno, lavora 6 mesi, incassa lo stipendio a nero ed in più circa 14.000€ netti.

Essendo questo un fenomeno antipatico per le famiglie, ma sempre più diffuso, chiunque decide di retribuire una badante a nero si mette in un’importante posizione di rischio, dove la badante gode di tutte le tutele di legge e la famiglia di nessuna.

La cosa può diventare ancora più grave se l’assistito, che casomai soffre di Alzheimer, diventa violento con l’operatrice che lavora a nero.

In tal caso, anch’esso abbastanza comune, alla vertenza viene accompagna anche una denuncia che, solitamente, ha conseguenze penali.

Ora che i rischi e le conseguenze di assumere una badante in nero sono chiari, consigliamo di seguito gli unici modi che esistono per evitare che quanto abbiamo scritto possa verificarsi.

Cosa fare per non correre rischi?

Per prima cosa è bene chiarire che assumere una badante direttamente, per un servizio di assistenza completo, la spesa è di 1500€ al mese, ma potrebbe essere di più come di meno.

Assumere direttamente vuol dire farsi carico di tutti i doveri del datore di lavoro, tra cui dedicare del tempo per:

  • seguire la parte contabile e retributiva;
  • gestire orario di lavoro e segnare straordinari;
  • accantonare TFR e gestire pratiche di chiusura;
  • supervisionare attivamente l’operato del badante.

Va anche considerato che quando si assume direttamente si rispondi in modo illimitato in termini di responsabilità e con tutto il proprio patrimonio.

Che significa? Una cooperativa sociale, ad esempio, non risponde con il capitale dei soci lavoratori. Una SRL risponde limitatamente al capitale che ha versato.

Una codice fiscale risponde, invece, con tutti i beni che ha collegati che fanno da garanzia, il più delle volte inconsapevole, a tutto ciò di cui si decide di prendersi carico.

Questo significa che se il datore di lavoro è l’assistito e quest’ultimo dispone di un patrimonio personale (tra immobili e disponibilità) di circa 300.000€, risponderà limitatamente al capitale di cui dispone (i 300.000€).

Se il datore di lavoro, invece, è una SRL che ha un capitale sociale di 10.000€, risponderà limitatamente al capitale sociale che ha versato (10.000€).

Se, invece, il datore di lavoro è una cooperativa sociale, risponderà limitatamente alle omissioni verso il singolo socio lavoratore in misura limitata al capitale sociale disponibile in cooperativa (solitamente 250€ moltiplicato il numero di addetti presenti in visura).

Va tenuto anche presente che quando il datore di lavoro è la famiglia, l’importo che la badante può richiedere in caso di vertenza si riduce moltissimo, ma non si azzera del tutto.

Questo accede perché per portare il rischio a zero bisogna rispettare al 100% il mansionario del contratto di lavoro fatto ed evitare di fare qualsiasi tipo di straordinario, o di non far godere riposi e ferie.

Per la nostra esperienza è davvero complicato riuscirci, visto che, di solito, l’assistito tende a peggiorare nel tempo e a creare più situazioni di emergenza, che rendono sempre più difficile riuscire a rispettare la pianificazione.

Per evitare qualsiasi tipo di pensiero, invece, si può scegliere scegliere di rivolgersi ad una cooperativa sociale, che, oltre a farsi carico di tutte le responsabilità, mette a disposizione della famiglia un supervisore che si occuperà di tutti gli oneri, compreso la gestione delle sostituzioni e delle ferie.

Optando per questa soluzione, il budget previsto per l’assistenza completa è di circa 2000€ al mese, ma mette al riparo la famiglia da qualsiasi contestazione, da problemi di copertura del servizio e da qualsiasi problema di gestione dell’assistito.

Con una cooperativa come Sant’Anna 1984, i più fragili sono in buone mani.

Covid-19: le conseguenze dell’isolamento sugli anziani

La diffusione del Covid-19 ha imposto alla categoria più fragile e più a rischio della popolazione di dover scegliere tra l’isolamento in casa e la libertà di uscire con il pericolo di contrarre una patologia potenzialmente letale.

Le restrizioni imposte dalla pandemia sono state dure per tutti, ma la tecnologia, attraverso gli smartphone e i social media, è riuscita a dare un minimo di sollievo alle persone più digitalizzate, possibilità che è stata del tutto o in gran parte assente per le persone anziane.

Il distanziamento fisico ha stimolato l’uso di servizi online per mitigare la solitudine, ma proprio tra le persone che ne avrebbero beneficiato di più l’utilizzo è stato molto ridotto, a causa del diffuso analfabetismo digitale tra gli anziani.

Le fasce più anziane della popolazione hanno quindi dovuto combattere non solo con una brutta minaccia di malattia, ma anche con un triste e pericoloso isolamento, che ha rappresentato e rappresenta un fattore di rischio importante per i soggetti affetti da problemi psicologici come ansia e depressione.

Essere costretti tra le mura domestiche può infatti provocare un generale declino cognitivo che, sommato alla mancanza di movimento, può tradursi in complicanze sul sistema cardiovascolare, sul sistema nervoso e anche sull’attività respiratoria.

Può inoltre presentarsi un’alterazione del sonno, con conseguente compromissione dell’attività mnemonica, della capacità di concentrazione e di controllo emotivo.

Agitazione, aggressività, apatia e indifferenza hanno registrato il loro picco più alto in questo preciso momento storico, cosa che evidenzia quanto può essere dannoso condurre la propria vita in solitudine, ancora di più se parliamo di soggetti anziani e patologici.

La pandemia ha dunque accentuato problematiche psicologiche e sociali già esistenti, come ad esempio l’ageismo, ma ha anche introdotto nuovi rischi legati all’aumento della mortalità e alle limitazioni all’accesso ai servizi primari.

assistenza domiciliare badante roma

L’invecchiamento e l’importanza dei contatti sociali

Se da una parte tutte le misure di sicurezza prese sono state finalizzate a salvaguardare e proteggere dal contagio soprattutto le categorie più a rischio, come gli anziani, è vero anche che la separazione dai familiari può comportare conseguenze preoccupanti.

La rete delle relazioni familiari svolge un ruolo fondamentale nella qualità di vita dell’anziano, perché incentiva uno stile di vita attivo e dinamico, ma risponde anche al bisogno di protezione e sicurezza.

La mancanza di questo contatto può compromettere la salute degli anziani e il loro senso di tranquillità; la separazione dalle relazioni può dunque essere considerata una condizione preoccupante sia da un punto di vista psicologico sia da un punto di vista fisico.

Non sorprende quindi che le limitazioni imposte per il contenimento del contagio abbiano stravolto in generale la vita di tutti, ma che abbiano avuto effetti di gran lunga più pesanti sugli anziani.

Per questi soggetti in età avanzata, una simile quantità di stressa da gestire può dare luogo ad una serie di eventi psichiatrici avversi come ansia, depressione e disturbi del sonno.

Se è vero che tutte le fasce d’eta sono state penalizzate in termini di equilibrio psico-fisico, non bisogna dimenticare che il contatto umano e la possibilità di svolgere attività motoria e cognitiva negli anziani sono collegati in modo diretto con l’aspettativa e la qualità di vita.

In molti casi, poi, il lockdown non ha fatto altro che esasperare una problematica purtroppo già presente per molti anziani.

La solitudine degli anziani nelle RSA

Spesso si tende ad associare le residenze per anziani ad un’idea di minore solitudine. In generale non è così e, a causa delle restrizioni in atto, lo è ancora meno.

Le strutture residenziali sociosanitarie hanno dovuto attuare specifici protocolli al fine di tutelare la salute fisica degli anziani e preservarli dall’imminente rischio infettivo.

È stato perciò necessario interrompere i contatti con l’esterno, con i parenti e con gli amici, andando a peggiorare ulteriormente un quadro che, già di per sé, colloca l’anziano in una situazione di grande solitudine.

Gli operatori si sono ritrovati ad assistere ad uno spettacolo davvero drammatico, confrontandosi con i decessi non solo causati dall’infezione da Covid-19, ma anche dall’isolamento protettivo a cui sono stati sottoposti gli anziani.

La solitudine, infatti, è un fattore che incide in modo molto negativo su patologie psichiche, come ad esempio la demenza senile, ma anche su quelle cardiovascolari. 

In una popolazione fragile e in larga misura instabile è quindi aumentato il rischio di peggioramento di patologie di tipo organico e, con esso, la conseguente possibilità di un decadimento psico-emotivo.

Assistenza domiciliare per anziani: il rimedio per alleviare la solitudine

Tutti sono concordi nell’affermare che l’isolamento è stato ed è ancora il mezzo più potente per proteggere le fasce più fragili da un’infezione che può rivelarsi letale per gli anziani. Come abbiamo visto, però, l’isolamento ha prodotto conseguenze altrettanto gravi sulla vita degli anziani, sia quelli che abitano da soli che quelli ricoverati nelle RSA.

Del tutto diversa è stata invece la condizione dei pazienti seguiti da operatori e badanti in regime di assistenza domiciliare. Con questa modalità di assistenza, gli operatori hanno potuto continuare ad occuparsi non solo del benessere fisico dei loro assistiti, ma anche di quello psicologico.

Pur in una situazione di disagio, questo ha mitigato in larga misura la solitudine, consentendo agli anziani di poter avere un contatto umano con una persona di fiducia.

Naturalmente alla base di questo sistema c’è la salvaguardia della salute dell’assistito e dell’operatore, con ogni mezzo a disposizione.

In Sant’Anna 1984 abbiamo dato la massima priorità a questo aspetto, istruendo gli operatori sul comportamento da tenere per ridurre i rischi di contagio, dotandoli di tutti i dispositivi di sicurezza e sottoponendoli a tampone con cadenza regolare.

In molti casi, ricorrere all’assistenza domiciliare è stata una scelta che ha protetto gli anziani sotto più di un punto di vista, consentendogli di attraversare le fasi peggiori dell’epidemia con minori rischi, sia fisici che emotivi.

Il punto di forza dell’assistenza domiciliare è infatti il totale focus sul benessere dell’anziano, con l’obiettivo di supportarlo nella quotidianità e nello svolgimento delle sue abitudini giornaliere. 

Si tratta di un ruolo delicato, che i nostri operatori portano avanti con grande responsabilità, dal momento che dal loro lavoro dipendono sia il benessere fisico che psichico dell’assistito.

In quest’ottica l’assistenza domiciliare è stato il metodo assistenziale che ha prodotto i risultati migliori nel corso della pandemia, in particolar modo se paragonato alle condizioni delle RSA o di chi vive da solo.

Alla luce di questa esperienza, che è stata illuminante, seppur con un costo altissimo, per molti, sono sempre di più le famiglie che optano per questo metodo di assistenza, perché sanno di poter offrire ai propri cari tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere una vita serena e dignitosa.

Gli anziani e la primavera: come affrontare il cambio di stagione

La primavera è una stagione che quasi tutti accolgono con piacere: le giornate si allungano, i campi si riempiono di fiori, arrivano i primi caldi e la natura si risveglia.

Per quasi 5 milioni di anziani, però, il ritorno della bella stagione rappresenta un momento in cui i problemi di salute cronici si acutizzano, come il dolore ad ossa e articolazioni, mentre altri si presentano proprio per la variazione del clima: difese immunitarie che calano, capogiri, colpi d’aria, tosse e mal di gola regolari.

Perché il cambio di stagione ha un impatto così importante sul fisico degli anziani? La causa principale è la variazione delle ore di luce e della temperatura, che produce effetti importanti sia sul corpo che sull’umore.

In questo periodo dell’anno, il desiderio più frequente negli anziani è quello di dormire e deriva proprio dal fatto che la luce, agendo sul sistema nervoso centrale, inibisce la produzione di melatonina durante il giorno, che è la responsabile del ciclo sonno-veglia.

A risentirne di più sono proprio le categorie più deboli, come i bambini e soprattutto gli anziani, che si ritrovano a dover fare i conti con un affaticamento maggiore del solito, ma anche con depressione e ansia.

Proprio per questo motivo, è essenziale tutelarli e adottare piccoli accorgimenti che possano aiutarli a fronteggiare il cambio di stagione al meglio.

Sia che gli anziani siano seguiti dalla famiglia, sia che usufruiscano di un servizio di assistenza domiciliare come quello di Sant’Anna 1984, l’imperativo è sempre quello di mettere al primo posto la salute della persona.

I nostri operatori adottano un protocollo specifico in questi casi, che le famiglie possono replicare facilmente anche se la persona non viene seguita da un operatore specializzato.

Le aree di intervento per assicurare un cambio di stagione il più possibile in dolore sono 5:

  • un confronto con il medico di famiglia, per stabilire la necessità di eventuale supporto farmacologico o con integratori;
  • la scelta di un’alimentazione il più possibile equilibrata;
  • il movimento, con passeggiate all’aria aperta;
  • il controllo sull’abbigliamento, affinché sia adeguato alle temperature;
  • il monitoraggio del riposo, per limitare il rischio di affaticamento.
assistenza domiciliare e badante roma

“Five a Day”: la chiave per affrontare il cambio di stagione grazie ad un’alimentazione sana con il giusto apporto energetico

Tra le 5 aree che abbiamo indicato, quella che può fare davvero la differenza nell’affrontare con slancio il cambio di stagione è senza dubbio l’alimentazione. Mangiare sano e naturale, con abbondanza di legumi e creali integrali, è fondamentale per poter garantire il corretto apporto di vitamine e sali minerali.

Non deve inoltre mancare la giusta quantità giornaliera di frutta e verdura, fonte insostituibile di vitamine, fibre e sostanze antiossidanti, un vero e proprio toccasana per il sistema cardiovascolare.

Il più delle volte, però, l’arrivo del caldo e dell’umidità causa inappetenza e disidratazione, per questo è consigliato fare 5 pasti al giorno, più leggeri, in modo da contrastare il problema e assicurare un buon apporto energetico durante tutta la giornata.

Il principio del “Five a Day” prevede quindi 5 pasti nell’arco della giornata, che comprendono sempre frutta e verdura fresca e di stagione, preferibilmente 3 principali e 2 spuntini. Si tratta di un espediente molto utile per introdurre una routine alimentare sostenibile e in grado di garantire tutti i nutrienti necessari per affrontare con energia la giornata.

Il modo migliore per essere sicuri di assumere tutte le diverse proprietà nutritive dagli alimenti vegetali è basarsi sul loro colore. Gli alimenti contraddistinti dal colore verde sono ricchi di betacarotene, magnesio, vitamina C e potassio. Quelli bianchi garantiscono vitamina C e selenio, così come quelli gialli, mentre in alimenti dal colore arancio/rosso troviamo licopene e antocianine.

Non bisogna inoltre dimenticare che gli anziani sono spesso soggetti a carenza di ferro e sarebbe quindi ideale favorire il consumo di legumi, spinaci, uova, radicchio verde e tonno in scatola.

Sono piccoli e semplici consigli che possono aiutare l’anziano a superare l’ostacolo della primavera con meno fatica.

Attività fisica per affrontare il cambio di stagione e combattere la solitudine

Se l’alimentazione è la chiave per sostenere il fisico durante il cambio di stagione, l’attività motoria è il segreto per non cedere alla depressione.

Il movimento, infatti, stimola la produzione di endorfine, che hanno un effetto benefico sull’umore. Una passeggiata al giorno è senz’altro un ottimo modo per tenersi attivi e anche per avere occasione di socializzare.

Il cambio di stagione è un evento passeggero, ma la solitudine che affligge molti anziani non lo è. Per questo, con l’arrivo della bella stagione e di temperature più miti, bisogna spronare gli anziani a uscire più spesso all’aria aperta, naturalmente sempre muniti dei giusti dispositivi di sicurezza.

Tutti i medici e tutti gli specialisti concordano sul fatto che l’attività fisica porti benefici non solo al corpo, ma anche alla mente, soprattutto delle persone anziane, che tendono a impigrirsi sempre di più.

Muoversi, uscire e avere un approccio dinamico alla vita è sicuramente il primo passo da compiere, prestando però attenzione a scegliere la giusta attività in base alle caratteristiche di ciascuno.

In questo senso, poter contare sul supporto di un’operatore specializzato come quelli di Sant’Anna 1984 può essere molto importante per la salute degli anziani.

Da un lato, infatti, la compagnia dell’operatore può soddisfare, almeno in parte, il bisogno di socialità dell’anziano, ma soprattutto rappresenta uno sprone importante a compiere tutte le attività necessarie a mantenere un buon equilibrio psico-fisico.

Per riuscire in questo compito, l’approccio dei nostri operatori affonda le sue basi nella cura e nelle attenzioni che vengono riservate all’assistito, per farlo sentire importante e speciale.

L’empatia che contraddistingue i nostri operatori facilita l’instaurarsi di un rapporto di grande fiducia, che gli consente di farsi ascoltare dall’assistito e di stimolarlo nel modo giusto, sbloccando molto spesso energie nascoste.

L’intrattenimento e le giuste attività ricreative sono infatti uno degli elementi chiave per il successo dell’assistenza domiciliare.

Alcune volte basta davvero poco per favorire l’apertura dell’anziano verso le altre persone, allontanando l’atmosfera cupa che spesso l’avanzare dell’età porta con sé, specie durante i cambi di stagione.

Sole, aria pura e buona compagnia sono il giusto mix per promuovere il buonumore e la salute. Di contro, aria viziata e mancanza di idratazione sono i nemici numeri uno delle persone più fragili in questo periodo dell’anno.

Questo i nostri operatori lo sanno molto bene e infatti, giorno dopo giorno, portano avanti questo metodo di lavoro. Si tratta di piccole attenzioni che possono migliorare la qualità di vita dell’anziano, soprattutto durante i cambi di stagione.

Covid-19: la fragilità degli anziani e l’importanza del vaccino

In Italia un numero sempre più significativo di persone si trova in una condizione di vulnerabilità, che richiede la permanenza in una RSA oppure un servizio di assistenza domiciliare per anziani.

Questa fragilità nell’anziano comporta la perdita di alcune funzionalità del corpo o della propria autonomia, ma in molti casi si traduce anche in un significativo impoverimento delle risorse a disposizione per soddisfare i bisogni sociali.

L’impatto della pandemia da Covid-19 è stato molto pesante sotto questo punto di vista e ha permesso di mettere in luce la sensibilità delle persone anziane e il loro bisogno di essere tutelati.

La diffusione di questo virus ha fatto emergere molti lati oscuri della gestione degli anziani nel nostro Paese, da un lato perché le strutture per ricovero di anziani hanno scritto la pagina più nera della pandemia in Italia, dall’altro perché sono emersi nuovi bisogni sociali della vita degli anziani, che prima non erano troppo considerati.

La necessità di distanziamento sociale e di isolamento hanno fatto emergere la solitudine in queste persone, una solitudine che può rappresentare un rischio che non deve essere sottovalutato.

La criticità più grave dell’infezione Covid-19 rimane comunque l’elevato tasso di mortalità proprio tra le persone più anziane, in misura ancora maggiore tra i soggetti geriatrici affetti da patologie croniche concomitanti.

L’Italia conta più di 8,4 milioni di persone ultra 65enni costrette a convivere con una patologia cronica e sono proprio loro, i pazienti più a rischio, ad aver pagato il prezzo più alto in termini di mortalità, ragion per cui è innanzitutto la popolazione anziana ad aver maggior bisogno di attenzioni e di cure.

Le patologie più a rischio in caso di esposizione al virus: priorità ad anziani e caregiver

In quest’ottica la prevenzione è di fondamentale importanza, a maggior ragione nelle persone che si trovano in una condizione medica più rischiosa e più vulnerabile.

In cima alla piramide si posizionano i soggetti di età avanzata che presentano comorbilità e cronicità di altre patologie pregresse.

Questi rappresentano due fattori penalizzanti nel caso di infezione e di sviluppo della malattia da Sars-Cov-2.

Le malattie croniche che aumentano il rischio di mortalità sono:

  • l’ipertensione arteriosa;
  • il diabete mellito di tipo 2;
  • le cardiopatie ischemiche;
  • la fibrillazione atriale;
  • le demenze;
  • l’insufficienza renale cronica;
  • la broncopneumopatia cronico ostruttiva;
  • i tumori attivi negli ultimi 5 anni.

I pazienti affetti da queste forme croniche sono più in pericolo di tutti, un pericolo dettato dall’elevato tasso di mortalità associata a Covid-19 per danno d’organo già esistente, o compromessa risposta immunitaria in caso di infezione.

Al fine di evitare lo sviluppo di forme più severe e più pericolose di Covid-19 è dunque importante essere protetti.

Ad oggi l’arma più potente che abbiamo a disposizione è il vaccino, sviluppato in tempi record grazie all’impegno solidale di tutta la comunità scientifica.

La popolazione over 80 rappresenta una priorità assoluta nella campagna vaccinale, considerato appunto l’alto rischio di sviluppare la malattia in forma grave e il conseguente bisogno di un eventuale ricovero in terapia intensiva.

Al fine di tutelare le categorie più deboli, il piano nazionale di vaccinazione comprende diverse fasi di sviluppo. Nella prima fase le attenzioni e le precedenze sono state rivolte a:

  • operatori sanitari e sociosanitari; 
  • personale ed ospiti dei presidi residenziali per anziani;
  • anziani over 80 anni.

Tra le priorità compaiono quindi gli anziani over 80 insieme ai caregiver di persone in assistenza domiciliare, basata sull’assunto che la precedenza nel ricevere il vaccino fosse proprio per quelle persone che, in caso di infezione dal virus, avrebbero quasi con certezza bisogno di ricovero ospedaliero.

Assistenza domiciliare per anziani: un altro modo per proteggere i più deboli

Il Covid-19 è entrato senza difficoltà nelle residenze sanitarie assistenziali e ha lasciato un segno profondo nella vita di tante persone, soprattutto famiglie che sono state costrette ad assistere, impotenti, al disastro che si è verificato in queste strutture.

Nonostante le stringenti misure di sicurezza messe in atto, però, nella maggior parte dei casi le RSA non si sono dimostrate luoghi sicuri per gli anziani.

L’assistenza domiciliare per anziani e disabili, in questo senso, offre un panorama del tutto diverso: l’opportunità preziosa di offrire ai più fragili tutte le cure di cui hanno bisogno rimanendo al sicuro nella loro abitazione.

Sant’Anna 1984 è particolarmente attenta a questo aspetto e adotta un protocollo molto rigido per tutelare sia l’anziano che l’operatore che se ne prende cura.

Innanzitutto, con il nostro servizio di assistenza c’è un solo operatore alla volta che presta le cure all’assistito, fatte salve esigenze straordinarie. 

Gli operatori seguono poi un preciso decalogo di comportamento sia sul luogo di lavoro che al di fuori degli orari di servizio, per garantire il più possibile la sicurezza del paziente.

Infine, per ridurre ancora i rischi, la cooperativa sottopone i propri operatori a tampone ogni 2 settimane senza eccezioni e fornisce al personale tutti gli idonei dispositivi di protezione.

Campagna Vaccinale: come funziona nella Regione Lazio?

Per concludere, ecco una veloce panoramica sull’andamento della campagna vaccinale nella Regione Lazio.

L’8 Febbraio è cominciata la vaccinazione per gli anziani ultra 80enni.

Ad oggi la fase 1, che comprende la vaccinazione di tutto il personale sanitario del Lazio e degli anziani ospiti nelle RSA, è stata portata a termine.

La strategia messa in atto dalla Regione è stata quella di replicare il successo della campagna vaccinale in Israele e quindi procedere per fasce di età.

Al completamento della prima fase, si procederà andando a ritroso con gli anni di nascita dei cittadini.

Per poter effettuare la prenotazione sul sito regionale, PrenotaVaccinoCovid, è necessario inserire il proprio codice fiscale e una parte del codice della propria tessera sanitaria.

Inoltre ogni cittadino ha a disposizione una mappa con tutti i centri vaccinali che sono attivi su tutto l’intero territorio della Regione Lazio.

Ogni mappa è dotata di una legenda, per favorire le prenotazioni, con dei simboli in colore verde per indicare la disponibilità e dei simboli in rosso per gli appuntamenti già esauriti.

In questo modo ogni cittadino ha la possibilità di scegliere e selezionare la giornata e l’orario più adatto alle proprie esigenze.

Il software, in maniera automatica, effettua anche la prenotazione della seconda somministrazione nello stesso centro scelto.

La Regione Lazio è stata innovativa nell’inaugurare e sperimentare il primo hub in Italia, il Centro vaccinale dell’aeroporto di Fiumicino, dove è possibile vaccinarsi sette giorni su sette fino alle ore 24, in modo da garantire il vaccino a tutte quelle persone altrimenti impossibilitate a causa della sovrapposizione degli orari con quelli del proprio lavoro.

Si tratta di un hub monotematico, prendendo sempre in considerazione il modello Israeliano, dove avviene la somministrazione di un unico tipo di vaccino.

Nel Lazio si viaggia a 32 mila inoculazioni al giorno, grazie anche all’incremento delle aperture notturne; l’obiettivo è avviare altri 3 hub nella capitale per arrivare a 75 mila ogni 24 ore, oltre 2 milioni al mese.

Il progetto prevede la messa in atto di una modalità che permette di accelerare la campagna vaccinale e la campagna di immunizzazione, aspirando all’immunità di gregge per la prossima estate. Un vero e proprio modello da seguire in tutta l’Italia.

Caregiver familiare: requisiti, significato e tutele

caregiver-familiare-requisiti-figlia-madre-anziana

7,3 milioni, donne, per la maggioranza (60%) disoccupate: sono i dati Istat più aggiornati, che fotografano l’Italia dei caregiver familiari ovvero di quelle persone che assistono a tempo pieno ed a titolo gratuito un proprio parente anziano.

Non si tratta solo di un impegno personale ma di un ruolo cui va riconosciuta rilevanza per la società tutta. I caregiver familiari infatti colmano a tutti gli effetti una lacuna assistenziale del settore pubblico. Solo alcune regioni (come l’Emilia Romagna) hanno prodotto riconoscimenti legislativi e tutele verso questa figura, sempre più importante nei paesi a prevalenza anziana come il nostro e che, come il nostro, si avviano verso un futuro con un indice di vecchiaia in aumento costante.

Delle buone intenzioni del legislatore ci fanno però temere alcuni segnali d’allarme, come il fatto che durante l’emergenza causata dal Coronavirus nessun bonus è stato riconosciuto ai caregiver familiari.

Tra i requisiti del caregiver familiare rientra l’assistenza diretta e indiretta. La prima consiste in cure primarie come la preparazione e la somministrazione dei pasti, la vestizione, il sostegno nella deambulazione, la vigilanza sul piano farmacologico, ecc. Assistenza indiretta è, invece, il disbrigo delle questioni amministrative e burocratiche che riguardano l’assistito.

In attesa della legge sul caregiver familiare…

È ancora sconcertante per noi dover segnalare che gli assistenti familiari sono allo stato attuali privi di riconoscimento da parte della legge, non solo nel senso che non è mai stato definito giuridicamente il significato del ruolo sociale del caregiver familiare in un provvedimento dedicato, ma soprattutto nel senso che non esiste alcuna tutela di tipo previdenziale.

Per la verità una definizione è stata tentata con la legge di bilancio 2018, che ha istituito un “Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare”, valevole per gli anni 2018, 2019 e 2020. Si legge nel provvedimento che il caregiver familiare è “la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18”.

Segnaliamo che il fondo della legge di bilancio 2018, destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi di riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura del caregiver, è stato utilizzato solo in parte. La legge di bilancio 2021 ha istituito un nuovo fondo, con una dotazione di 25 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023.

Sembra, insomma, che anche queste iniziative siano destinate a fallire se non si agisce prima su un fronte più globale e non necessariamente assistenzialistico.

Attualmente il quadro normativo relativo a questa figura sociale e professionale di importanza determinante nel nostro paese comprende soltanto la legge n. 104/1992 e il decreto legislativo n. 151/2001.

La prima, come molti dei nostri lettori sapranno, include una serie di misure a sostegno delle persone affette da disabilità. Tra le agevolazioni è previsto un permesso retribuito di appena 3 giorni per chi presta assistenza, concesso solo nel caso in cui la persona assistita non sia ricoverata presso una struttura. A questo si aggiunge, esclusivamente per il caregiver familiare che assiste un disabile grave, la possibilità di beneficiare di un congedo straordinario e retribuito della durata massima di due anni.

Caregiver familiare: come fare domanda?

In assenza di una legge che tuteli il caregiver familiare non è possibile presentare alcuna domanda per ottenere un riconoscimento del proprio lavoro nell’assistenza ad una persona non autosufficiente.

Si possono però proporre le domande relative all’ottenimento dei benefici previsti dalla 104. A questo proposito è quindi necessario procedere prima con la domanda per il riconoscimento della condizione di disabilità grave dell’assistito (presso l’Inps) e solo in seguito ci si rivolgerà al proprio datore di lavoro per il godimento dei permessi.

Per quanto riguarda invece i requisiti richiesti al caregiver familiare per accedere all’ipotetico bonus di cui si disquisisce dalla scorsa legislatura (ma che non è mai diventato legge), questi erano:

  • essere figlio, coniuge o parente entro il terzo grado convivente con un familiare non autosufficiente di almeno 80 anni di età;
  • avere un reddito Isee inferiore ai 25.000 euro.

Il bonus consisterebbe in una detrazione fiscale o in un contributo in denaro, a seconda della situazione reddituale del richiedente. Altre misure eventualmente considerate dal Testo Unico potrebbero essere la possibilità della pensione anticipata, telelavoro, ferie e permessi di vario tipo, priorità nell’accesso ad alcuni servizi.